La Global Minimum Tax è un imposta ritenuta necessaria per una maggiore equità per le imprese che operano su territori nazionali differenti, perché molto spesso non c’è corrispondenza tra il paese in cui vengono effettuati gli introiti e quelle in cui vengono versate i contributi.
Ovviamente vengono sempre scelte, quando possibile, le zone con le tasse minori e più convenienti per l’impresa. La proposta è un 15% su una base Paese-per-Paese. L’accordo attualmente è soltanto sulle aliquote e in teoria dovrebbe essere esteso alla distribuzione nazionale e alla base imponibile anche se al momento la definizione resta un problema irrisolto che sta preoccupando l’OCSE.
La proposta per la Global Minimum Tax
L’aliquota ottimale dovrebbe risultare intorno al 25%, al momento il 15% sembra essere la cifra che ha visto meno lamentele da parte di chi si trova tassato, perché si avvicina di più a quella delle imposte minime personali. Il principale problema rimane sempre la base imponibile che deve essere correlata ai dati relativi ai ricavi cioè alle vendite nelle singole Nazioni e questa sembra essere l’unica soluzione adatta per un livello di localizzazione sul territorio accettabile.
I problemi tecnici sono principalmente quelli correlati alle regole per il transfer pricing, ovverosia quali sono i beni a cui si applicano e soprattutto come devono essere considerati quelli intangibili come il software, i diritti d’autore e o brevetti. Da qui si deve raggiungere poi la distribuzione geografica, perché già l’Europa ha cominciato con la Web Tax che è il frutto di una considerazione sul cambiamento delle basi imponibili come le attività intangibili e digitali che devono essere trattate in modo nuovo perché l’economia del Web è differente da quella del mondo tradizionale.

Questo non implica una tassazione specifica per le piattaforme, ma semplicemente il fatto che l’economia è sempre più volte verso il digitale e questo deve andare insieme a un adeguamento delle basi imponibili delle imposte. Altrimenti non si potrebbe considerare un trasferimento dati come un sistema per la creazione di un valore aggiunto.
La sfida della fiscalizzazione del bene smaterializzato
Ci sono situazioni peculiari strettamente correlate alle piattaforme digitali, perché la profilazione degli utenti e delle buyer personas genera una ricchezza enorme, che molto spesso finisce in paradisi fiscali o in paesi con agevolazioni particolari. Purtroppo per avere l’accettazione da parte degli USA, la condizione per l’accordo è che venga eliminata la Web Tax europea, perché molti dei colossi del settore risiedono proprio negli Stati Uniti, che al momento sono ancora dominanti per quanto riguarda la rete.
Il problema può essere il fatto che la tassazione rischia di ricadere su prezzi e salari e quindi semplicemente la questione non viene risolta, ma traslata. Ci sono poi i problemi legati al fatto che un’imposta a carico esclusivamente di imprese straniere su un territorio richiederebbe la doppia imposizione e violerebbe il principio di non discriminazione. A vantaggio dell’Europa c’è però da dire che la Web Tax al momento è scarsamente eludibile e sembra essere uno strumento funzionale.
L’accordo è molto vicino, è già nel G20 è stata posta una pietra miliare, perché 131 paesi hanno firmato la proposta e al momento l’orizzonte per la Minimum Tax è il 2023. Sono circa 20 enormi multinazionali della logistica, della farmaceutica e del web colpite massivamante dal provvedimento, che si è reso necessario e paesi come Estonia, Ungheria e Irlanda, solo per citarne alcuni, che dovranno prepararsi a modificare i loro asset.
Al momento l’ostacolo più duro è quello opposto da Joe Biden presidente degli Stati Uniti, che però è favorevole ad una sfida sistemica nei confronti della Cina e con tutta probabilità ammorbidirà le posizioni, favorendo questa di manovra. Il tutto nella speranza di indebolire i colossi orientali che mettono a serio repentaglio l’economia degli Stati Uniti.
Al momento con il 15% il surplus annuo potrebbe sfiorare la cifra incredibile di 150 miliardi di dollari, che potrebbero essere investiti dai paesi, in particolare da quelli in via di sviluppo, per infrastrutture progresso e miglioramenti del sistema sanitario, messo a dura prova dalla pandemia.