La scelta della tipologia di mutuo nel momento della stipula del contratto è la parte più complessa della contrattazione, essendoché spesso non si hanno ben chiare le differenze. In particolar modo, la differenza tra il tasso fisso e quella variabile è conosciuta solo superficialmente, indi per cui si attuano scelte non pienamente confacenti alle proprie esigenze. Tramite questo articolo saprai quali siano le differenze e, soprattutto, perché il tasso fisso abbia tutta una serie di vantaggi rispetto a quello variabile.
Tasso fisso: caratteristiche e definizione
I prestiti, solitamente, hanno una durata pari che oscilla tra i cinque e i trenta mesi. Ciò vuol dire che la restituzione del capitale debba avvenire entro questi termini, beninteso che la maggioranza dei contratti prevede il diritto di restituzione anticipata del capitale nel caso in cui il debitore si trovi in possesso della relativa somma di danaro. Il tasso fisso è tendenzialmente più elevato di quello variabile, poiché non tiene conto delle variazioni nel mercato finanziario ma è stabilito a priori attraverso una serie di valutazioni dal pool di esperti dell’istituto di credito di nostro riferimento.
Il tasso risulta essere la sommatoria di due componenti: da un lato l’Interest Rate Swap (cosiddetto “IRS”), e dall’altro lo SPREAD annuo. Una volta pattuita la rata, il mutuatario non andrà mai incontro a variazioni durante l’arco di restituzione della somma (solitamente coprente l’ottanta per cento del totale ma, in rari casi, anche del cento per cento, soprattutto se subentrano accordi statali).

Tasso variabile: definizione e caratteristiche
Qui la situazione è opposta alla succitata. Il calcolo degli interessi si modifica semestralmente. Lo SPREAD non è quello annuale ma in questo caso coincide con la somma che la banca decide autonomamente di ricavare dal prestar danaro. Urge sin da ora specificare che esista una normativa europea ad hoc per cui lo SPREAD non possa mai superare certi limiti, oltre i quali si discorrerebbe di usura. La componente variabile del tasso, da sommare ovviamente allo SPREAD, è il tasso Euribor, coincidente con l’interesse applicato sui depositi delle banche europee. Ciò significa che, se a un primo impatto il tasso variabile risulta esser lievemente inferiore a quello fisso, nel lungo periodo potrebbe subire delle variazioni tali per cui possa tanto lievitare quanto decrescere. Il tutto in relazione all’andamento dei mercati.
Perché dunque il tasso fisso è preferibile?
La spiegazione è abbastanza intuitiva, ma occorrono comunque delle specificazioni. Il tasso variabile ha la caratteristica di oscillare nel tempo, il che lo rende praticamente imprevedibile. Il mutuatario difatti, per prevederne le variazioni, dovrebbe conoscere diversi studi macroeconomici, che non risultano essere alla portata di tutti. Ma, a prescindere dal grado di preparazione personale, è palese che alla fine del mutuo si rischi di aver pagato interessi molto più elevati essendo subentrate logiche di mercato perduranti l’intera durata del prestito.
Come poter risolvere tale grana? Solitamente si cerca di adempiere prima all’obbligo di restituzione, ovvero anticipando i tempi di restituzione del capitale residuo: insomma, si agisce sul tempo. Nel tasso fisso, al contrario, queste considerazioni sono marginali. Infatti mutuante e mutuatario accettano preventivamente i tassi che verranno applicati, col notevole vantaggio per il debitore di sapere una volta per tutte quale sia l’importo delle rate che dovrà versare periodicamente. La soluzione risulta essere la migliore soprattutto se si sia sottoposti a contratto di lavoro a tempo indeterminato, dunque da subordinato: si saprà con certezza quanto spendere e quando accantonare al mese per la restituzione della obbligazione pecuniaria.
In Italia, paese storicamente propenso alla stipulazione dei contratti di lavoro come subordinati, il ricorso al tasso fisso è di gran lunga maggiore a quello variabile, invece particolarmente in voga nel mondo anglosassone dove la conoscenza degli strumenti finanziari è diffusa tra i risparmiatori retail.
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